COACHING

Come si svolge una sessione individuale di coaching scolastico con la Pedagogia Scenica Integrata.

Tutto inizia prima ancora che lo studente entri nello spazio scenico. Il primo passo è sempre un colloquio preliminare con i genitori. Questo momento è fondamentale per raccogliere informazioni sul contesto scolastico, sulle fatiche riscontrate, sulle dinamiche familiari, sulle aspettative. Si ascolta, si osserva, si chiede, ma soprattutto si chiarisce: non si tratta di un supporto clinico né terapeutico, ma educativo. Il coach non cura, non fornisce diagnosi, ma costruisce insieme un percorso per aiutare il ragazzo o la ragazza a ritrovare fiducia, motivazione e strumenti efficaci per apprendere. Alla fine del colloquio viene concordata la formula più adatta: frequenza, modalità (in presenza o online), obiettivi generali.

Durante la prima seduta con lo studente, l'approccio è calibrato sull'età e sul suo stile di apprendimento. Con i bambini della scuola primaria, si lavora molto sul gioco simbolico, sull'esplorazione di emozioni e stati d'animo attraverso il corpo, su storie inventate e personaggi immaginari. Si comincia spesso con un "rito d'ingresso": togliere le scarpe, scegliere uno spazio nel tappeto, camminare in cerchio con un ritmo libero, poi condividere una parola che racconti come ci si sente quel giorno. Si passa poi a giochi di attenzione e concentrazione (come "statua e movimento" o "la macchina emotiva", in cui ogni bambino rappresenta con il corpo una emozione che viene attivata da un suono o da un gesto del coach). A questo segue un momento più narrativo, dove il bambino può scegliere un oggetto simbolico da una scatola teatrale e costruire attorno ad esso una piccola storia. Da lì nascono scene, mini-dialoghi, riflessioni spontanee. Tutto è pretesto per allenare l'espressività, il linguaggio, la fiducia, la capacità di simbolizzare e di esplorare le proprie paure scolastiche in forma protetta.

Con gli adolescenti, il setting cambia. L'inizio della seduta è spesso verbale, uno scambio informale, mai frontale. Si cerca un punto di aggancio: un fatto accaduto in classe, un voto andato male, una sensazione di blocco. Da lì si parte per passare gradualmente al corpo. Si lavora molto con esercizi teatrali di ruolo: si simula un'interrogazione davanti a un "professore immaginario" e si esplorano i pensieri che bloccano, le reazioni fisiche, i meccanismi automatici di fuga o compiacimento. Oppure si propone un dialogo fra due "parti interne": ad esempio, la voce critica ("non ce la farai mai") e quella più saggia ("hai studiato, fidati di te"). Si usano anche strumenti come il "gioco delle sedie interiori", ispirato al teatro psicologico di Moreno, dove ogni sedia rappresenta una emozione o un punto di vista, e lo studente si sposta da una all'altra per dare voce alle sue ambivalenze. Tutto questo viene accompagnato da esercizi di respirazione consapevole, presenza scenica, articolazione della voce, per rafforzare la padronanza del sé in situazione.

Un altro strumento spesso usato con gli adolescenti è la scrittura drammatica: si chiede loro di immaginare una scena scolastica ricorrente e riscriverla come se fossero registi. Cosa cambierebbero? Chi vorrebbero essere in quella scena? E da lì, si costruisce uno sketch che può essere recitato insieme o semplicemente immaginato ad alta voce.

Dopo il colloquio con i genitori e i primi momenti di conoscenza con lo studente, qualcosa cambia. È come se si aprisse una porta. Non si tratta più soltanto di ascoltare ciò che non funziona, ma di cominciare a costruire. Da qui in avanti, il percorso prende una direzione nuova: educativa, attiva, creativa.

Non si lavora più "sul problema", ma sulla possibilità. L'attenzione si sposta dal sintomo — la fatica, il voto basso, la svogliatezza — al potenziale. Si comincia a esplorare ciò che può nascere, e lo si fa attraverso il linguaggio vivo della scena. È questo il momento in cui lo spazio cambia funzione: da luogo di racconto diventa luogo di azione. E lo studente, gradualmente, passa da oggetto di osservazione a protagonista del proprio cambiamento.

La voce, il corpo, il movimento, l'immaginazione: ogni elemento entra in gioco per trasformare l'esperienza scolastica da passiva a partecipata. Si comincia a sperimentare, a provare, a sbagliare e a rifare. Non per ottenere un voto, ma per scoprire nuove forme di apprendimento e nuove versioni di sé. Ed è proprio in questa fase che la Pedagogia Scenica Integrata dispiega tutto il suo valore: rendere il sapere un'esperienza incarnata, significativa, trasformativa.

Da questo momento in poi, si sale in scena. 

Facciamo un esempio. Se uno studente ha difficoltà con la storia, non gli si chiede di studiare la Rivoluzione Francese davanti a un libro. Gli si propone di "diventare" un personaggio dell'epoca, di scrivere una lettera immaginaria a un altro protagonista, di mettere in scena un processo rivoluzionario o un dialogo tra monarchia e popolo. Così la materia prende vita, diventa incarnata, vissuta, memorizzata attraverso emozione, azione, empatia.

Oppure, se la fatica è nella comprensione di un testo letterario, lo si può portare in scena. Si lavora sulla voce, sul ritmo, sull'intenzione. Si chiede allo studente: cosa direbbe questo personaggio oggi? Come si muoverebbe? Come reagirebbe a un tweet o a un'interrogazione scolastica? In questo modo, si sviluppa la capacità interpretativa, si potenzia il pensiero critico, si allena la rielaborazione personale. Tutte competenze trasversali che, poi, fanno la differenza anche nei compiti in classe.

Il coach non si sostituisce all'insegnante, ma affianca il percorso scolastico attraverso un metodo che va alla radice: potenzia l'attenzione, la memoria, l'organizzazione, la gestione dell'ansia. Aiuta lo studente a riconoscere il proprio stile di apprendimento, a sviluppare strategie efficaci, a trasformare l'errore in risorsa scenica. E lo fa mettendo in campo tecniche teatrali, simulazioni, giochi di ruolo, letture interpretate, dialoghi socratici, micro-scritture drammaturgiche, esercizi sul tempo e sullo spazio del pensiero.

In questo quadro, ogni materia può diventare scena. La matematica, ad esempio, può trasformarsi in una sequenza coreografica per esplorare il concetto di simmetria o proporzione. La grammatica diventa dialogo tra parole-personaggi. Le scienze si esplorano costruendo piccole drammaturgie sulla cellula, sul sistema nervoso, sulle leggi della fisica.

Il sapere, dunque, non è trasmesso, ma costruito. E costruito in modo attivo, partecipato, emozionante. Il coach insegna, eccome. Ma insegna come si fa in teatro: partendo dalla relazione, dall'ascolto, dal corpo, dal ritmo. Insegna a stare sulla scena della scuola con più presenza, più fiducia, più autonomia. Anche quando i riflettori sembrano spenti.

Qualcuno obietterà che è facile rappresentare Napoleone: gli metti il cappello, gli dai un cavallo, gli fai attraversare un ponte e già tutti lo riconoscono. Ma cosa succede se al posto di un personaggio storico dobbiamo rappresentare un concetto astratto? Se invece dell'imperatore dobbiamo portare sul palco un teorema, un'equazione, una formula matematica? Come si fa a dare corpo all'idea, voce al numero, movimento al pensiero?

Immaginiamo un ragazzo delle scuole medie che fatica a ricordare il teorema di Pitagora, confonde i cateti con l'ipotenusa, si sente inadeguato ogni volta che la parola "triangolo rettangolo" viene pronunciata. Nella didattica tradizionale gli si chiederebbe di memorizzare una formula. Nella Pedagogia Scenica Integrata, invece, lo si invita a mettere in scena quella formula. A viverla.

La seduta comincia con un'esplorazione dello spazio. Si chiede allo studente di costruire con nastro adesivo sul pavimento un triangolo rettangolo, in grandezza "umana". Si misura con i piedi, si contano i passi. Uno dei lati più lunghi diventa il palcoscenico su cui si muoverà. Poi si entra nel vivo.

Lo studente sceglie quale "lato" essere. Può diventare il cateto più corto, oppure l'ipotenusa, e incarnarlo: cammina, si distende, ne racconta la funzione.
"Io sono il lato più lungo, ma non me la tiro: senza gli altri due, non esisterei nemmeno. Sono la sintesi, il risultato del loro lavoro insieme".
Intanto il coach mette voce ai pensieri degli altri due lati: "Noi siamo i cateti, lavoriamo in squadra. Siamo perpendicolari, ma andiamo d'accordo".

Poi si rappresenta la relazione. Si distribuiscono sul pavimento tre fogli quadrati, uno per ogni lato, ma con area proporzionale. Lo studente scrive nei quadrati: , , . Viene invitato a camminare tra questi spazi e a mettere in scena l'equazione: "Il mio quadrato, unito a quello del mio collega, crea te. Sei tu, c², l'effetto della nostra somma". In questo modo, la formula non è più una fredda sequenza di simboli, ma un'azione, un rapporto tra presenze sceniche, una relazione drammaturgica.

A quel punto si può giocare con i numeri. "Se io valgo 3 e lui vale 4, quanto vali tu?"
E lo studente prova, cammina tre passi sul cateto corto, quattro sul lungo, poi attraversa l'ipotenusa con lo stesso corpo, sentendo fisicamente che quella diagonale è diversa, più lunga ma meno stabile, inclinata. "Sei 5!" dice, perché l'ha vissuto prima ancora di calcolarlo.

Il Teorema di Pitagora dice che in un triangolo rettangolo, il quadrato dell'ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati dei cateti. 

Se un cateto misura 3 e l'altro 4, l'ipotenusa si calcola così: prendi il quadrato di 3, cioè 9, poi il quadrato di 4, cioè 16. Sommali: 9 + 16 fa 25. A questo punto devi trovare il numero che, moltiplicato per sé stesso, dà 25. È 5. Quindi, in questo triangolo rettangolo, l'ipotenusa misura 5.
Se si sommassero semplicemente 3 e 4, si otterrebbe 7, che è più lungo di 5. E infatti, camminare 3 passi in avanti e poi 4 a sinistra (per esempio) richiede 7 passi. Ma se invece tagli dritto in diagonale da inizio a fine, quella diagonale è più corta di quel percorso a gomito: è solo 5.

La messa in scena è un modo bellissimo per far capire che la geometria non segue la logica dell'aritmetica lineare, e muoversi con il corpo nello spazio può aiutare a comprenderlo più profondamente. È come guardare un film e, a un certo punto, entrare nello schermo, vivere la scena dal di dentro.

Infine, il coach propone una riflessione: "In che modo questa scena ti assomiglia? Ti è mai capitato di sentirti come un cateto che da solo non basta? O come un'ipotenusa che deve tenere insieme tutto?"
Così il concetto matematico diventa anche metafora personale, esperienza incarnata, e quindi memoria viva.

Questo è il cuore della Pedagogia Scenica Integrata: non spiegare, ma rendere visibile. Non far ripetere, ma far esistere. Un teorema non si studia a memoria: si mette in scena, si abita, si comprende. E solo allora resta.

Se sei uno studente che desidera migliorare il proprio metodo di studio, affrontare con più serenità le sfide scolastiche o ritrovare motivazione, oppure un genitore che vuole offrire al proprio figlio un'opportunità di crescita personale e autonomia, ti invito a partecipare a un incontro individuale conoscitivo sulla Pedagogia Scenica Integrata.
Un'occasione per scoprire come questa nuova disciplina può fare la differenza, dentro e fuori la scuola. 

Per informazioni:
📧 consigliocoach@gmail.com
📞 327 463 5132