CLARA

CLARA LA FARCIOLA 

Cofondatrice della
Pedagogia Scenica Integrata®

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📧 pedagogiascenica@gmail.com
📞 388 956 3783
📚 Docente di ruolo in Lettere – Scuola Secondaria di I Grado
🎓 Specializzata per il Sostegno

Profilo professionale

Docente di Lettere con una forte passione per il teatro, da sempre considerato uno strumento educativo privilegiato per favorire l'inclusione, lo sviluppo delle competenze espressive e relazionali, e la crescita personale degli studenti.
L'interesse per il linguaggio teatrale ha guidato il mio percorso accademico e professionale, portandomi a realizzare tesi universitarie, progetti scolastici, laboratori ed esperienze didattiche ispirate all'arte scenica.

Formazione

  • Laurea in Lettere, Università "La Sapienza", Roma
    Tesi: "Il Giorno: Vita come spettacolo. Una ricerca di teatralità nella scrittura di Giuseppe Parini"
  • Specializzazione per il sostegno
    Tesi: "Teatro e inclusione scolastica. Un'indagine sul ruolo della didattica teatrale nella creazione di un ambiente inclusivo"
  • Attestato di Qualificazione Professionale come Aiuto Regia – Laboratorio Cinema 87, Roma (11 aprile 1994) – Certificato dalla Regione Lazio
  • Corso di recitazione (1986–1988) – Teatro Cantina "Il Cenacolo", Roma, diretto da Fausto Costantini

Esperienze professionali e progettuali significative

  • Docente di Lettere presso scuole secondarie di I grado, con attenzione particolare agli aspetti espressivi, comunicativi e creativi del linguaggio
  • Esperta di Didattica Teatrale, promotrice e conduttrice di numerosi laboratori teatrali scolastici in vari istituti della provincia di Chieti, con la realizzazione di spettacoli, performance e saggi finali
  • Docente di Scrittura e Giornalismo in un progetto educativo presso la Casa Circondariale di Lanciano (a.s. 2024/25)
  • Docente di Teatro nel progetto promosso dal Rotary Club presso "Percorsi - Centro Psicosociale" di Lanciano, per il supporto al disagio mentale attraverso l'espressione teatrale

Competenze chiave

  • Didattica inclusiva e laboratoriale
  • Progettazione di percorsi educativi attraverso il teatro
  • Regia e conduzione di attività performative scolastiche
  • Comunicazione empatica e relazionale
  • Valorizzazione delle potenzialità espressive nei contesti educativi e riabilitativi

Ho deciso di condividere alcune storie significative della mia vita che mi hanno guidato verso l'elaborazione della Pedagogia Scenica Integrata. Spero che possiate apprezzarle e sarei felice di sapere cosa ne pensate! Queste riflessioni faranno parte del mio secondo libro.

IL GIORNO: VITA COME SPETTACOLO

Mi chiamo Clara La Farciola. Sono nata in Abruzzo, ma la mia giovinezza è trascorsa a Roma, tra strade che sapevano di possibilità infinite. Da vent'anni sono tornata al mio paese d'origine: il tempo è passato veloce, e oggi, con un sorriso ironico, mi definisco "vecchina" che sogna la pensione. Sono un'insegnante di Lettere – "fortunatamente" di ruolo – ma il mio cuore, da sempre, batte per il teatro.

Il mio sogno? Essere una sorta di Giorgio Gaber al femminile: cabaret, teatro-canzone, canto, regia, compagnia teatrale. Il palcoscenico era la mia vera vocazione. E un po', a dire il vero, ci sono riuscita. Ho recitato, ho scritto, ho creato piccoli spettacoli: frammenti di altre vite che porto con me. Ma, come ricordava John Lennon, "la vita è ciò che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti". E la mia vita, in mezzo a prove, spettacoli e studi di cinematografia, mi condusse quasi per magia alla laurea."

La tesi che avevo immaginato doveva essere sul teatro dell'assurdo, ma la relatrice di Letteratura Teatrale mi negò questa strada: "Con i tuoi voti – mi disse – devi chiedere al professore di Letteratura Italiana". E io, che non sono mai stata il tipo da arrendermi, accettai la sfida. Il professor Gennaro Savarese aveva indagato Parini con uno sguardo originale, legandolo alle Belle Arti, e da lì nacque la mia idea: perché non affrontare il Giorno, il poema satirico del Settecento, come se fosse un'opera teatrale?

Ricordo ancora l'odore della carta, nella biblioteca di Brera a Milano, dove tra polverosi volumi mi immersi in una vera avventura di ricerca. Fu un'illuminazione: un saggio di Ettore Bonora mi aprì la strada, parlando della "vita come spettacolo". Pensai: ecco, cercherò gli elementi teatrali nel poema di Parini, non i soliti aspetti morali o etici. Non fu semplice, le tracce erano poche e rare, ma mi vennero in soccorso Carducci e qualche altro articolo sparuto. Così, con pazienza e tenacia, ritagliai e classificai pezzo per pezzo Il Giorno, 2694 versi che suddivisi in elementi teatrali:

• Identificazione dei ruoli di attore, regista e spettatore,

• Identificazione didascaliche, sceniche, costumistiche e coreografiche,

• Gestualità, pantomima e danza,

• Musica e musicalità,

• Caricature, oggetti parlanti, personificazioni allegoriche, favole,

• Inganno, recita, similitudine, maschera

• L'immagine alla moda

• Lezione teatrale del "Giorno"

• L'ampia scena, ovvero attori e comparse di un teatro fuori dal teatro

Era nato il seme di un modo nuovo di guardare alla letteratura: non più solo parola scritta, ma vita che prende forma sulla scena.

L'ESSENZIALE È INVISIBILE AGLI OCCHI

Tra i tanti spettacoli che ho portato in scena, ce n'è uno che porto nel cuore più di tutti: Il Piccolo Principe.

Avevo già fatto cabaret, monologhi divertenti in piazza, piccole commedie originali scritte e recitate insieme a Francesco Consiglio, momenti che considero tra i più belli della mia vita. Ma quel ruolo – quello del Piccolo Principe – fu per me qualcosa di speciale.

Facevo parte di una piccola compagnia romana che si esibiva la mattina nelle scuole. Ogni bambino pagava 1000 lire e, alla fine, io ricevevo il mio compenso: 80.000 lire, tutte in banconote da mille. Diventava quasi un gioco andare a fare acquisti con quel mazzetto di banconote spicciole, come se portassi ancora addosso il sorriso dei bambini che le avevano messe insieme.

Mi alzavo prestissimo: si partiva all'alba per raggiungere le scuole del Lazio. Io ero il Piccolo Principe, perché ero la più giovane e perché il mio corpo magro e androgino si prestava a quell'ambiguità che il personaggio porta con sé. Non imparai il copione leggendo, ma vivendo: lo assimilai in scena, respirandolo ogni volta che lo recitavo. Ancora oggi conservo quel copione ritrovato per caso, tra vecchie carte e ricordi sparsi: una reliquia della mia giovinezza.

E come dimenticare lo sguardo dei ragazzi? Quella meraviglia limpida, l'emozione che li faceva brillare, la curiosità con cui accoglievano ogni parola. Erano felici di lasciarsi sorprendere, di vivere un'esperienza diversa dalla solita routine scolastica. Io recitavo, ero la protagonista, ma mentre guardavo quei volti pensavo: un giorno dovrò essere io a portarli sul palco. Devono essere loro a interpretare queste storie. Sarebbe ancora più vero, più potente, più bello.

Oggi, guardando indietro, sento un nodo di nostalgia. I ragazzi non hanno più quello stesso sguardo acceso. Ho la sensazione che gli occhi delle nuove generazioni, spesso, siano appannati, narcotizzati da cellulari e social. Vanno a teatro, sì, ma non con quella fame di vita, quella scintilla che un tempo illuminava ogni gesto, ogni parola. E io, che ho visto quei volti brillare, so bene cosa si è perso.

Oggi quegli sguardi mi mancano, è vero. Ma proprio da questa mancanza è nata la mia ricerca. Ho capito che non potevo limitarmi a rimpiangere un tempo che non torna: bisognava trovare nuove strade per accendere ancora quella meraviglia.

È così che ho iniziato a immaginare e a costruire la Pedagogia Scenica Integrata: un modo per riportare i ragazzi al centro, per ridare loro la gioia di stupirsi attraverso il gioco teatrale, la creatività, il corpo in movimento, la parola che diventa azione.

Il Piccolo Principe mi aveva già insegnato che "l'essenziale è invisibile agli occhi". La PSI vuole proprio questo: aiutare i ragazzi a riscoprire ciò che non si vede ma si sente, a tornare protagonisti della loro crescita, a ritrovare la luce negli occhi.

Perché io sono convinta che la scintilla c'è ancora, nascosta sotto la cenere. Bisogna solo creare le condizioni giuste perché torni a brillare.

WHAT A WONDERFUL WORLD 

All'inizio facevo solo supplenze brevi. Entravo in classe giusto il tempo di tamponare l'assenza di un insegnante: un ripasso, qualche esercizio, niente che lasciasse un segno. Non avevo spazio per veri progetti e così mi dimenticai persino che, tempo prima, con Il piccolo principe, avevo già accarezzato l'idea di portare il teatro a scuola.

Poi però le supplenze cominciarono ad allungarsi, fino a diventare annuali. A quel punto arrivarono anche le prime richieste: "Perché non propone qualcosa di suo?" mi dicevano presidi e coordinatori. Così nacquero i miei primi laboratori teatrali, quasi per caso.

Ricordo con nitidezza una classe unica: solo 5 bambini di prima media. Un gruppo minuscolo, un'occasione irripetibile. Li mettevo tutti intorno alla cattedra e mi sentivo una chioccia con i suoi pulcini. Con loro potevo davvero sperimentare: studiare bene, fare tanto, provare linguaggi nuovi. Fu allora che mi chiesero un progetto di raccordo con la quinta elementare. E io, senza pensarci troppo, tirai fuori il teatro. Scrissi un piccolo copione: i miei ragazzi erano astronauti catapultati sulla Terra, accolti dai bambini della primaria tra gag, canzoncine e scenette comiche. Era leggero, divertente, ma aveva dentro già l'idea di fondo: unire classi diverse, farle dialogare attraverso la scena.

La voce si sparse e presto anche altre classi vollero partecipare. Ricordo i ragazzi di seconda media che spiavano le prove e, quasi offesi, mi dissero: "E con noi niente?". Così in poche notti scrissi Viaggio nel tempo, un copione che mescolava teatro, storia e musica. Era il primo vero germe di quella che sarebbe diventata la Pedagogia Scenica Integrata: trasformare la lezione in scena viva, capace di far entrare i ragazzi dentro le epoche, i personaggi, le emozioni.

Da lì in avanti, ogni scuola portava con sé nuove occasioni: Pinocchio va a scuola, L'isola che non c'è, ancora What a wonderful world e Viaggio nel tempo. Copioni che piano piano sono diventati la mia valigia di insegnante: testi da adattare, reinventare, condividere. Ogni volta la stessa emozione di vedere i ragazzi trasformarsi, crescere, scoprire lati di sé che neppure immaginavano.

Col tempo ho capito che quelle prime esperienze, nate quasi per gioco, erano molto di più: erano la materia viva che avrebbe indirizzato il mio sguardo verso la nascita della Pedagogia Scenica Integrata.

LA VITA È UN'ODISSEA

Il mio anno di prova lo ricordo come un'odissea vera e propria. Avevo tante classi, plessi diversi e lontani, riunioni su riunioni… e in più una prima media numerosa, vivace e complessa. In quella classe c'erano almeno tre ragazzi con la 104, con accanto insegnanti di sostegno e assistenti educativi. Nonostante tutto questo, io volevo assolutamente tentare: mettere in scena con loro l'Odissea. Nessuno escluso.

Era la mia prima esperienza da insegnante di ruolo in lettere, e decisi che il teatro e la poesia sarebbero stati al centro del nostro cammino. Ogni mese imparavamo una canzone d'autore o una poesia a memoria, perché volevo che i ragazzi assaporassero la bellezza della parola, della musica, del ritmo. L'epica li appassionò moltissimo: leggevamo Omero, Virgilio, i miti, e tra parafrasi e discussioni sentivo crescere in loro una scintilla autentica.

Così pensai: "Perché non trasformare tutto questo in scena?". Non osavo scrivere un copione dall'inizio, cercai e trovai un testo teatrale in rete, molto lungo e in romanesco. Lo riducemmo e lo adattammo insieme: io con le forbici in mano e loro con la fantasia. Fu un vero lavoro collettivo. Alcuni ragazzi, che faticavano a memorizzare battute, poterono riscriverle a modo loro. Io dicevo: "Non importa se non ti ricordi le parole precise, dì il concetto come ti viene meglio". E improvvisamente quelle voci che in classe erano spesso insicure, trovarono libertà.

Ci furono anche momenti sorprendenti. La ragazza che interpretava Penelope, alla fine, mi disse: "Prof, io non potrei mai perdonare un uomo che mi ha abbandonata. Posso cambiare la battuta?". E riscrisse il finale: Penelope che non cede, Ulisse che se ne va affranto. Una scena che fece scoppiare tutti a ridere e che rese il nostro spettacolo unico.

Non fu un anno facile: i genitori mi criticavano spesso, mi accusavano delle cose più assurde, addirittura di mostrare contenuti inappropriati solo perché in una canzone "La fata" di Bennato c'erano immagini appena sensuali. Le malelingue pesavano, ma io andavo avanti, perché vedevo che con i ragazzi il miracolo stava avvenendo.

Durante le prove e sul palco accadde qualcosa di straordinario: i ragazzi impararono davvero a includersi. Anche chi era sempre stato ai margini, chi usava la carrozzina, trovò il suo posto in scena come marinaio. Quelli che a volte erano stati vittime di prese in giro, sul palco vennero abbracciati dai compagni. Per un attimo, tutti furono alla pari.

E alla fine arrivarono gli applausi. Gli stessi genitori che mi avevano criticata a lungo si alzarono in piedi, commossi, con i fiori e le lodi. In quel momento capii che quella era la mia strada. Che il teatro era lo strumento capace di mostrare a tutti – ragazzi, colleghi, famiglie – il valore del mio lavoro.

Da quell'esperienza, e da tante altre simili, nacque poco a poco la Pedagogia Scenica Integrata: non una teoria astratta, ma una via costruita passo dopo passo, spettacolo dopo spettacolo. Ogni laboratorio, ogni prova, ogni ostacolo superato è stato un mattone che ha dato forma al mio credo educativo: che la scena può unire, trasformare, far crescere.

Se sei uno studente che desidera migliorare il proprio metodo di studio, affrontare con più serenità le sfide scolastiche o ritrovare motivazione, oppure un genitore che vuole offrire al proprio figlio un'opportunità di crescita personale e autonomia, ti invito a partecipare a un incontro individuale conoscitivo sulla Pedagogia Scenica Integrata.
Un'occasione per scoprire come questa nuova disciplina può fare la differenza, dentro e fuori la scuola. 

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